Ho 43 anni e vivo a Roma. La dermatite atopica mi accompagna quasi dalla nascita. Con la pubertà la mia malattia sembrava sopita, e un relativo stato di buona salute mi ha scortato fino a che, da giovane adulto, in un periodo di forte stress emotivo legato a vicende personali e lavorative, la dermatite è tornata con prepotenza a condizionare i miei affetti, il mio lavoro, la mia vita. Da quando la dermatite è tornata, prima di trovare una terapia che fosse efficace e che potesse essere seguita nel lungo periodo senza effetti collaterali, sono passati quattro anni.
Ora però sto meglio, e riesco a impegnarmi nel mio lavoro di ricercatore. Nel 2008, dopo aver conseguito la laurea in scienze biologiche, sono infatti entrato nella Scuola di Dottorato in Neuroscienze della Facoltà di Medicina dell’Università di Tor Vergata. Nella mia esperienza lavorativa ho studiato, guardando attraverso la lente dell’immunologia, tematiche come la terapia rigenerativa, la risposta ai tumori e i meccanismi alla base dell’autoimmunità del sistema nervoso centrale.
Negli ultimi due anni, poi, lo studio degli aspetti immunologici della malattia COVID-19 e dell’immunità conferita dalla vaccinazione è stato parte integrante delle mie indagini di laboratorio.
Il mio impegno nel Comitato Direttivo di FederAsma e Allergie è sostenuto dalla volontà di ricambiare la Federazione per l’aiuto che ha dato alle persone che come me soffrono di dermatite atopica. FederAsma e Allergie, infatti, è stata centrale per lo sviluppo, attraverso la promozione e il sostegno costante, di ANDeA – Associazione Nazionale Dermatite Atopica OdV- affiliata alla Federazione.
Spero che il mio contributo possa aiutare a concentrare l’attenzione sulle problematiche comuni che investono le persone con tutte le patologie riconducibili alla definizione di “atopia”. E spero anche di portare una visione d’insieme del paziente atopico. Perché l’atopia della pelle, con le sue manifestazioni dermatologiche, va spesso a braccetto con l’atopia delle mucose e con quella sistemica.
Parcellizzare l’atopia, nella mia visione, equivale quindi ad “aliquotare” la persona atopica, con ricadute negative nella gestione globale della sua salute.